Chissà perché in questo paese quando si parla di calcio e di politica finisce sempre in rissa. Forse perché è un paese infantile,adolescenziale,dove non si ha la concezione delle regole, la capacità di applicarle e il dovere di osservarle.
Prendete, per esempio, il calcio. C’è un arbitro oggi ben coadiuvato da alcuni assistenti, ci sono 22 ragazzotti pagati piuttosto bene, un allenatore, un pallone e novanta minuti a disposizione per divertirsi, per giocare. Gli altri, il pubblico, a fare il tifo per una squadra o per l’altra con la consapevolezza che quella partita non dovrebbe cambiare il corso delle vita. Di nessuno.
Eppure non è così.
Dettate le regole e apparentemente condivise tutti tentano di modificarle, interpretarle, cambiarle in corso d’opera. C’è chi si getta in area con la speranza di un rigore, chi si aggiusta la palla con la mano pur di arrivare ai mondiali, chi butta a terra l’avversario perché gli ha dimostrato di essere atleticamente più veloce, chi non sopporta le decisioni dell’arbitro e lo insulta. E viene giustamente cacciato. Ma segue una canea di voci contrapposte che non spiegano, davvero, cosa diavolo sia successo in campo. Prendiamo, per esempio, la storia di Mario Ballotelli. Un ragazzino di diciannove anni che gioca magnificamente a pallone. E’ uno dei pochi, in campo, a divertirsi in quanto, probabilmente, non ha ancora maturato la consapevolezza del campione che significa giocare per i soldi. Ecco, questo piccolo talento, immaturo, capriccioso come tutti gli adolescenti, irrequieto, indomabile, ha un piccolo difetto. E’ nero. Neppure abbronzato. Proprio nero. E, per molti ha un altro difetto: è italiano. E questo, per alcuni non è contemplato. Non ci sono neri italiani. Nella nostra razza questo non è permesso. Ma nella razza umana si. E allora, il pallone, il calcio, il gioco, la bellezza di un gol, del gioco di squadra, del passarsi il pallone, della gioia di una vittoria, degli insegnamenti di un sconfitta, tutto questo non c’è. Dietro queste frasi non c’è. E da Ballotelli passiamo alla caccia al nero. In maniera quasi normale in un paese che non è più normale. Non basta vergognarsi dei cori razzisti, del gridare sporco nero la sera per richiamarlo la mattina al lavoro duro dei campi, a non volerlo nei nostri bar ma ad accettarlo nei nostri appartamenti lucrandoci e non vergognandoci di avere un cuore che non pulsa sangue ma solo disprezzo e memoria corta. Quando noi trattiamo male un extracomunitario stiamo sputando in faccia a mio zio che è andato in miniera in Belgio, all’altro mio zio emigrato in Australia, a tanti altri italiani che son partiti alla ricerca di un lavoro, stranieri in terra straniera. Quegli stessi stranieri che, seppure integrati da una vita in altri paesi, quando gioca la Nazionale di calcio italiana corrono a vederla e quando scoprono che un fenomeno di nome Mario Balotelli gioca in nazionale nonostante sia nero, sono orgogliosi e applaudono convinti di aver lasciato un paese civile. E non sanno invece della vergogna con cui ogni giorno ci vestiamo. Una vergogna che non si lava con normale detersivo. E ce la teniamo addosso. Insulto dopo insulto.
Sassari, 9 gennaio 2009