Menu
Gli ultimi e i primi.

Gli ultimi e i primi.

Mi è venuto in mente quando Papa Francesco ha aperto la porta santa nel carcere di Rebibbia. E ho sorriso: santo e carcere dovrebbero essere ossimori. Solo la potenza di un uomo testardo come Bergoglio poteva unirli.

“Quando visito un carcere mi domando sempre se al loro posto ci potevo essere anche io”, ha detto il Papa. E, sinceramente, quella frase me la sono ripetuta per i miei quarant’anni di lavoro nelle carceri. Sono sempre partito dal presupposto che il carcere è fatto per gli uomini, per gli inciampi, le scivolate, gli errori. È fatto per tutti. E tutti lo nascondono.

Decidere di istituire una porta santa in un carcere è una bellissima provocazione. Significa portare alla luce quel buio terribile che il carcere genera in chi ci vive tutti i giorni. Significa mettere al centro l’insostenibilità di un sistema tutto da rivedere, che produce squallore, miseria, inutilità e pochissima speranza. Significa poter dire: “Mi preoccupo di te.” Significa urlare per quei detenuti che non hanno mai voce o che, per motivi incredibili, hanno deciso di lasciare quel mondo, utilizzando il suicidio come unico atto di ribellione.

La porta santa nel carcere di Rebibbia apre tutti i blindi del mondo e li espone a chi non vuole sentire, non vuole vedere, non si vuole occupare di quegli uomini dimenticati e da dimenticare.

Ci vuole forza, ci vuole sfrontatezza per decidere un passo così rivoluzionario. Lo ha fatto un Papa. Non lo hanno fatto gli altri. E, per il mondo laico, questa è una grande sconfitta.

18:07 , 26 Dicembre 2024 Commenti disabilitati su Gli ultimi e i primi.