
La difesa della ministra Daniela Santanchè, intervenuta oggi pomeriggio alla Camera, meriterebbe un approfondimento di molte pagine. Mi limito a delle piccole considerazioni legate alle sue parole.
Il primo punto riguarda le sue dimissioni. Non lo farà perché in passato – e cita Mastella, Storace, Di Girolamo, Renzi e Uggetti – altri si sono dimessi e poi sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Ce ne sono altri, però, cara Ministra, che sono stati condannati (Berlusconi su tutti) e non è detto che la sentenza di assoluzione o di condanna sia scontata.
Ma lei intende continuare la sua battaglia e, in questi anni, si è resa conto di “alcune parole spese in passato: non potevo comprendere la sofferenza”. Il riferimento è alle richieste di dimissioni che ha invocato per molte persone: da Conte a Idem, da Morra a Tridico. Adesso comprende la sofferenza. Ed è un punto a suo favore, tardivo ma comunque importante.
Parla poi della carta stampata e delle trasmissioni TV che devastano la vita delle persone con l’ergastolo mediatico, che si ripercuote per tutta la vita: fine pena mai. A meno che, ci sarebbe da suggerire, uno non si dimetta.
Ultimo passaggio: “Io sono l’emblema di quello che detestate: lo rappresento plasticamente. Sono una donna libera, porto i tacchi alti e vesto bene. Non volete combattere la povertà, volete combattere la ricchezza”. Non è così, ovviamente, anche perché nessuno contesta la libertà di vestirsi come crede. Il problema è solo uno: perché valuterà di dimettersi dopo l’udienza preliminare di marzo? Avevamo detto che si è innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, Onorevole Santanchè. Un po’ di coerenza. Non si dimetta. Continui ad essere ministra con un fine mandato mai.