
La parola di oggi è “concerti”. Nel senso di manifestazioni di fine anno che, in Sardegna, sono diventate una sorta di “classico” a cui, pare, non si possa fare a meno. Uniscono e accontentano più o meno tutti, servendo a brindare a un nuovo anno che, dopo soli 365 giorni, finiremo per maledire, desiderando di rimpiazzarlo con uno nuovo.
Queste enormi sagre di paese, senza però il contorno tipico della “sagra”, sembrano una rincorsa tra città impegnate nella classica disputa del “chi ce l’ha più lungo”. Ovviamente il concerto di Capodanno ha un suo prezzo e anche un suo tornaconto.
Per quanto riguarda il prezzo, a spanne, considerando i partecipanti (diciamo circa 50.000) e i costi (si sono sfiorati i cinque milioni di euro), ogni partecipante è costato approssimativamente 100 euro. Sul tornaconto, invece, è in corso lungo dibattito. Ma c’è un aspetto che preoccupa di più: tutti i sindaci erano entusiasti del loro concerto, ma allo stesso tempo chiedevano a gran voce una revisione del progetto, auspicando un 2025 diverso in cui sarebbe necessario “reingegnerizzare” gli eventi.
Quando si utilizzano parole difficili per spiegare le cose, di solito significa che qualcosa non ha funzionato, ma non si sa bene cosa. E così, come sempre accade in questo Paese, ci si limita a “meditare” in attesa che qualcuno sappia fare “sintesi”.
Tutto molto “romantico (ma muori)”. Le cinque città interessate sembravano, per un giorno, “cinque gocce” d’acqua immerse in un’atmosfera che ricordava l’“America”. E, in fondo, è tutta “pazza musica”. Peccato non ci fosse Edoardo Bennato: sarebbe stata una conclusione perfetta per questi concerti che, in fondo, “sono solo canzonette”. O no?