Arrivavano dal cielo, come cavallette che volevano divorare i campi, dentro nuvole accovacciate sull’isola. Erano rumori lontani, antichi, che da queste parti non si sentivano da molto tempo. Rumori di guerra in tempo di pace. Una pace che ribolliva e aveva gli sguardi di giudici che da queste parti c’erano stati e avevano scritto il libro più importante del dopoguerra per conto dello Stato: avevano decretato che la mafia si poteva combattere. E lo avevano fatto. Con forza e determinazione. Era il 1985. Da giugno a settembre. Avevano calpestato quest’isola dentro un silenzio goffo e calamitato dalle parole. Avevano macinato attimi e eroso pregiudizi. Erano riusciti ad ottenere un grandissimo risultato: una lunga serie di condanne, vere, certe, definite e definitive contro chi voleva combattere lo Stato, quello con la esse dignitosamente maiuscola. Poi, polvere che sfugge al passaggio di una farfalla, accordo di chitarra tra una croma e una biscroma, l’attimo che pareva storia divenne cartapesta e tutto scoppiò. Fu Capaci e fu via d’Amelio, altre strade da ricordare nella laica via crucis di questo paese. Fu allora che arrivarono le libellule. Da lontano. Dallo stesso luogo degli angeli. Il 29 agosto 1992 cominciarono a giungere, sull’isola, mafiosi, camorristi, gente dura e con il cuore appena disegnato. Senza contorni. Arrivavano dal cielo per atterrare in un campo di calcio gonfio di polvere e di rabbia, tra Fornelli e la libertà. Atterrarono nello spazio di un attimo per essere inghiottiti dentro celle antiche e forti, nell’isola che ospitò gli angeli e, per contrappasso era destinata a raccogliere anche i demoni. Ma non calpestarono terra laicamente sacra. Non camminarono vicino alla foresteria dove gli angeli, Falcone e Borsellino scrivevano le loro condanne. Arrivarono dal cielo a bucare le nuvole e i sogni, ma non riuscirono ad intaccare la memoria.
13:12 , 27 Luglio 2011
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