Il mestiere più difficile è quello di genitore. Possiamo utilizzare le migliori strategie, leggere pagine di libri di pedagogia, domandare aiuto ad esperti di psichiatria infantile, chiedere miracoli alle varie Madonne sparse in tutto il mondo ma difficilmente tutto andrà come pensiamo: i figli hanno canoni diversi (o inversi, chissà), sono lago dove noi vediamo mare, sono luna quando immaginiamo il sole, sono piedi e non braccia, sono occhi e non bocca, sono silenzi e non vortici.
Sono quello che decidono di essere.
Con il nostro aiuto, certo, con il nostro appoggio, le nostre paure, le ansie, le raccomandazioni, l’egoismo insito, le ramanzine, i grandi discorsi, la voglia di dimostrare di essere adulti e saggi dimenticandoci che siamo stati adolescenti e folli e non sopportavamo gli adulti e saggi che ci passavano davanti.
Detto questo (ed è una premessa non da poco) proviamo ad incrociare gli sguardi con questi adolescenti inquieti senza dover, obbligatoriamente, sputare sentenze o difendere i cuccioli ad oltranza.
Due ragazze davanti ad una scuola di Sassari se le sono date di santa ragione, una di esse aveva un tirapugni e quindi aveva tutte le intenzioni di colpire e fare male.
Non conosciamo le origini del litigio e non sappiamo neppure tutta quella rabbia quell’astio da dove arriva.
Sono due ragazze minorenni e il giudice ha deciso di affidarle a due comunità distinte, almeno per ora.
Ci sarà tempo per depositare la polvere sulle ferite e di provare ad entrare nelle stanze apparentemente incomprensibili delle due adolescenti.
Conosciamo lo spartito ma non è musica alla quale le nostre orecchie sono abituate.
Tutto non torna: la scuola, gli amici che filmano e si divertano, i genitori, la città, la comunità tutta. E tutti a decidere, subito, da che parte stare, a delimitare il recinto della decenza, come se fosse facile.
Il mestiere più difficile è quello di genitore ma il ruolo più complesso è quello di cittadino inserito in una comunità.
Da quello partiamo: da una comunità ferita ma con le sue grandi colpe: non ha saputo ascoltare, non ha saputo organizzare gli spazi per i giovani: meglio, quei giovani li ha proprio abbandonati mettendogli un cellulare in mano, costringendoli a vivere nel chiuso delle proprie abitazioni, in quanto da anni quella comunità non produce nulla che possa aiutare a vivere insieme. Anche andare per negozi è diventato quasi impossibile e gli incontri avvengono a Predda Niedda, a Città mercato, a Piazzale Segni.
Quelle ragazze e i loro coetanei ci chiedono di sederci un attimo sulla panchina delle riflessioni e provare a cercare nella cassetta degli attrezzi una soluzione sociale per loro, per gli amici che continuano a sentirsi vivi solo se pubblicano qualcosa su un social, per quei professori mal pagati e abbandonati a mille sottostrutture burocratiche, dove ormai al centro del progetto non c’è più il ragazzo, a quei genitori che non riescono a leggere lo spartito dei propri figli.
Non è la condanna o l’assoluzione quello che le due ragazze aspettano: loro vorrebbero una risposta, un processo di cambiamento che non c’è, un’attenzione da parte della comunità che non c’è, uno sforzo per costruire insieme a loro un futuro che non c’è. Dietro quegli schiaffi, quella rissa, dietro quella violenza, quelle lacrime nascoste ci siamo noi. Tutti noi, nessuno escluso.
21:15 , 10 Febbraio 2022
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