
Le madri hanno le stigmate del perdono scolpite nell’anima. I figli non si lasciano per strada, non si abbandonano al buio dell’orrore. Così, davanti all’ennesimo femminicidio – dove assistiamo ormai inermi al comportamento “freddo”, “compassato”, quasi cinico dell’assassino (anche se le cose non sono mai come si dipingono) – ci troviamo stavolta davanti a qualcosa che supera ogni confine del tollerabile.Un’atroce, devastante novità.Abbiamo imparato a riconoscere le rughe scavate dal pianto sui volti delle madri e dei padri di figlie uccise. Quelle lacrime ci trafiggono il cuore, ci annientano, perché nessun essere umano dovrebbe sopravvivere ai propri figli. È contro natura, è contro l’anima stessa dell’essere genitore.Ma ora siamo davanti a una madre che non piange. Una madre che non urla, non si dispera, non cade in ginocchio sopra il corpo straziato di una ragazza che forse chiamava “figlia”. Questa madre era lì, in casa, mentre suo figlio uccideva. E – secondo le accuse – lo avrebbe aiutato. Lo avrebbe aiutato a cancellare il sangue. A cancellare le tracce. A cancellare la vita. Come in una serie televisiva scritta male, ma tremendamente reale. A lavare il sangue e i ricordi.A far finta che niente fosse accaduto.La banalità del male qui non solo si manifesta: esplode. Supera ogni soglia della nostra immaginazione. Scava solchi di stupore, di terrore, di impotenza.È un male che non urla, che non impazzisce: agisce in silenzio. Razionale, calcolato, glaciale.I difensori del ragazzo chiederanno la perizia psichiatrica, per capire cosa sia passato nella sua testa. Io mi chiedo, invece – e me lo chiedo tremando – cosa sia passato nella testa della madre di un ragazzo che aveva appena ucciso la sua fidanzata. Di quella donna che aveva accolto la fidanzata di suo figlio in casa, che l’aveva vista ridere, magari piangere, magari confidarsi.Che l’aveva vista vivere. E poi l’ha vista morire. E ha aiutato il figlio a far sparire tutto.Quella ragazza si fidava. Si fidava del suo compagno. E si fidava di quella madre. Li credeva rifugio, protezione, famiglia. E invece erano la sua fine. L’incubo. L’abisso delle coscienze. #giampaolocassitta@follower@inprimopiano#femminicidio
Questo articolo è stato scritto il lunedì, Aprile 7th, 2025 at 19:54
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Posted in: Blog, le ragioni di Caino