Se 56 suicidi non vi bastano (La Nuova Sardegna, 23 luglio 2024)
Chi sono le 56 anime che sono finite nella Spoon River dei dimenticati, in una collina che nessuno vuole vedere, che quasi nessuno conosce e che la totalità degli italiani ignora? Chi sono quelle anime ferite, disarticolate, disumanizzate, che hanno urlato in un deserto sempre più ampio, tra apericena e menefreghismo, tra tormentoni estivi e soluzioni al caldo assillante? Quelle 56 anime fanno parte della nostra comunità, ma le disconosciamo, le rigettiamo, le abbiamo abbandonate dentro il pozzo nero delle galere. Lo abbiamo fatto con un certo cinismo e con il menefreghismo tipico di chi le cose non le conosce e basa la sua realtà sul sentito dire. Così si è convinti che nelle carceri italiane ci siano le docce in camera con acqua calda a volontà, la possibilità di telefonare ai propri parenti quando si vuole, la certezza di un lavoro utile per la rieducazione e, alle prime proteste, siamo pronti, tutti, a fare spallucce e dire, neppure sottovoce: “Ma cosa vogliono questi? Sono già fortunati che non abbiamo buttato la chiave”. Il nostro popolo, con in tasca una patente falsa di “italiani brava gente”, davanti a 56 persone che nel corso del primo semestre del 2024 si sono tolte la vita in carcere, non riesce a dire niente. E allora provo a raccontarveli quei 56 corpi senza vita, senza parole e senza speranza. Alcuni sono ragazzi tossicodipendenti, figli di una vita tutta in salita, tra cocaina e metanfetamine, tra sesso sporco e disperazione, incapaci di costruire un futuro anche perché vivevano in un presente infame, finiti in carcere per piccoli furti, piccolo spaccio, gente che non rappresenta la “criminalità organizzata” molto attenta a costruirsi percorsi di vita sostenibile anche in carcere e che non pensa al suicidio. Quei 56 corpi senza movimenti sono per lo più sbandati, stranieri, disperati, gente senza la colonna sonora della vita, persone ai margini e che non reggono nessuna pressione. Sono nostri figli, amici dei nostri nipoti, vivono nelle periferie della vita, nelle stanze senza finestre per il futuro, in case dove non accade nulla, non si offre nulla e dove la felicità, l’amore, il sesso, il gioco e il futuro sono, al massimo, un’opportunità. Capite? Qualcosa che può accadere e non accade. Quei 56 corpi ci dovrebbero obbligare a soffermarci un attimo sull’inferno dei penitenziari italiani, sulle promesse mai mantenute, su un sovraffollamento figlio di scelte carcerocentriche, di paure recondite e false, di chi non vuole (o non può) affrontare seriamente l’argomento. C’è una proposta di legge minimalista a firma di Roberto Giachetti che sarà discussa tra qualche giorno nella Camera dei Deputati. Prevede di elevare la detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata. In questo momento è l’unica soluzione percorribile e favorirebbe le persone che in carcere mantengono una condotta “regolare”. La destra non ne vuole sapere. Ma non ha ricette se non quella di costruire “nuove strutture” che, se tutto va bene, saranno pronte tra dieci anni. E allora? Continueremo a contare i morti sulle rive dello Spoon River penitenziario, continueremo a leggere nelle croci nomi che non ci dicono nulla ma erano persone a cui è stata rubata la dignità. Fa male leggere la risposta di un magistrato di sorveglianza (vero garante del rispetto delle regole in carcere) rispondere a un detenuto che si lamentava della mancanza di acqua calda in carcere, e lui, il garante della legalità, non tenendo conto di quanto previsto dalla normativa, risponde laconicamente: “L’acqua calda non è un diritto essenziale del detenuto, ma una fornitura che si può pretendere solo nelle strutture alberghiere”. Lo dice esplicitamente l’articolo 7 del DPR 230/00 il quale recita: I vani in cui sono collocati i servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, sono dotati di lavabo, di doccia e, in particolare negli istituti o sezioni femminili, anche di bidet, per le esigenze igieniche dei detenuti e internati.” La risposta è la sconfitta del diritto, è la sconfitta di un’intera comunità.