Me lo immagino il Matteo, con gli occhi lucidi, mentre osserva quel ponte di 2,6 km crollare, fragile come un castello di carte, una costruzione Lego gigante che si disintegra al minimo sfioramento di un cargo di 289 metri. Lo vedo, il suo volto segnato dalla tristezza e dall’assenza, mentre, accanto a Bruno Vespa, contempla il modello del ponte di Messina, quello che dovrebbe estendersi per 3,6 km. Perché, nonostante l’abbondanza di calcoli, nonostante le intelligenze artificiali a nostra disposizione, persiste sempre l’incognita umana, quell’istante imprevedibile e selvaggio che può mandare all’aria ogni certezza.
Non è questione di pessimismo o di opposizione al progresso. È piuttosto un pensiero espresso ad alta voce su una struttura che, una volta completata, non solo si staglierà come un’autostrada nel deserto, ma porterà con sé anche il marchio del ‘rischio’.
Ho sempre sostenuto la costruzione di ponti piuttosto che di muri, sia chiaro. Ma, al di là delle metafore, se fossi in Matteo, rifarei qualche calcolo. Forse non sono un asso in matematica, ma il crollo del ponte di Baltimora mi ha convinto ancor di più che le equazioni di secondo e terzo grado, per quanto impeccabili, presentano una falla: sono nelle mani degli uomini.”
Da Baltimora a Messina