“Noi abbiamo iniziato quella che viene definita l’operazione Moro con un attacco che ha comportato cinque morti, immediatamente. Quindi è evidente che il peso, la gravità, la responsabilità che ci prendevamo rispetto all’operazione erano adeguati, secondo il nostro punto di vista, a quella che era l’importanza della proposta politica da noi lanciata in quel momento”. E’ la risposta di barbara Balzerani a Sergio Zavoli (La notte della Repubblica, Mondadori editore, pag. 283).
Davanti a queste frasi e a questo ragionamento “politico” sono sempre rimasto senza parole e negli anni mi son chiesto: ma davvero il rapimento Moro era una proposta politica? L’uccisione della sua scorta era un peso adeguato? Davvero pensavano di agire in nome della classe operaia? Io, con il sequestro Moro non ci ho fatto mai i conti e neppure con i brigatisti che sono diventati, negli anni, una piccola ossessione. Li accuso, da sempre, di avermi distrutto la tarda adolescenza, costringendo a diventare adulto in un attimo. Quel 16 marzo del 1978 avevo ancora 18 anni e quell’atto mi portò a schierarmi nettamente, per la prima volta, contro qualcuno. Scelsi lo Stato, scelsi i poliziotti uccisi, scelsi Aldo Moro. Non avevo dubbi e non ne ho mai avuti. Ho sempre contestato agli uomini delle brigate rosse questo voler trasportare una strage all’interno di un alveo politico. Barbara Balzerani è morta oggi, all’eta di 75 anni, portandosi dietro una serie di misteri che ancora camminano sui binari ormai abbandonati dell’Affaire Moro. Faceva parte del commando che uccise la scorta di Aldo Moro, in via Fani, a Roma. Con lei c’erano Moretti, Morucci, Fiore, Seghetti, Bonisoli, Gallinari, Casimirri e Lojacono. Tutti nomi che mi rimbombano nei cassetti della memoria. Ma nessuno è mai riuscito a sapere se l’elenco del commando di terroristi fosse esatto oppure parziale. Balzerani sul punto non ha mai voluto chiarire e non ha mai abiurato quelle scelte scellerate. Non si pentì e non si dissociò mai, ma dichiaro soltanto un “profondo rammarico per quanti furono colpiti”. Ho incontrato, nella mia carriera professionale, alcuni brigatisti ancora presenti all’Asinara nella diramazione di Fornelli. Nessuno di loro era stato condannato per omicidio e nessuno di loro era un nome tristemente famoso. Ad uno di essi chiesi il perché di quella scelta e lui mi rispose sprezzante che era l’unica via per abbattere lo stato imperialista. Mi accusò di essere una pedina del grande ingranaggio e che un giorno, forse, avrebbero vinto. Ho scoperto che quando venne trasferito presso l’area omogenea di Rebibbia si dissociò e dopo qualche anno ottenne il lavoro all’esterno. L’ho perso di vista ma rimangono scolpiti i suoi gesti. Rimane una ferita mai rimarginata: quella dei 55 giorni in cui Aldo Moro rimase nelle loro mani. A Barbara Balzerani avrei voluto chiederle semplicemente perché la loro analisi politica li portò davanti ad un baratro dove le parole vennero sconfitte dalle pallottole ed inoltre le chiederei indietro la mia adolescenza perduta. Mi hanno rubato i sorrisi e ucciso la spensieratezza che non ho più ritrovato. E scusate se è poco.
Questo articolo è stato scritto il lunedì, Marzo 4th, 2024 at 18:36
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Tags: Aldo Moro, asinara, brigate rosse, caino, Fornelli, terrorismo
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