Per costruire la felicità bisogna saper miscelare tutti i colori del mondo e tenerseli stretti. Non bisogna aver paura di osare, di provare a cambiare ciò che pareva immutevole. Prendete le miss dei paesi occidentali. Quasi sempre bianche. Adesso, finalmente, gli Stati Uniti d’America ammettono che “Black is beatiful” e ben tre dei principali concorsi di bellezza sono state vinti da tre bellissime ragazze afroamericane. Poi c’è Meghan. La dolce ed eccentrica Meghan, la Diana colorata, quella che con la casa reale inglese ha sempre avuto qualche problema di etichetta anche se non è – chioserebbe Claudio Baglioni – la regina Elisabetta. La forte Meghan è diventata mamma consegnando al suo amato Harry Duca di Sussex un erede maschio che sarà solo settimo in linea per il trono, ma è la prima volta che il pargolo regale avrà un colore bellissimo e ambrato, come la mamma. Era stato il pittore Tiziano a credere nell’importanza di mischiare i colori nei propri dipinti. Si ravvivano le ombre e si costruisce la luce ma, soprattutto, si crea quella mirabile patina che regala spazi di contrapposizione tra la vita e il resto del mondo. Stiamo parlando di uomini e di scelte cromatiche che, a dire il vero, poco c’entrano con la razza umana ma servono per segnalare un passaggio forse epocale in mondi che parevano fermi e lontani dalla nostra presunta modernità. Le tre miss America e il pargolo regale ci costringono a spostare l’asticella delle tradizioni di popoli considerati da sempre piuttosto restii al cambiamento. Un reale color caffellatte nella dinastia dei Windsor non si era mai visto. Però, a dire il vero, mai avrebbero immaginato una principessa come Diana Spencer o un principe amante dell’arte e della bellezza come Carlo. Le dinastie sono costrette a confrontarsi con quello che il mondo passa e il mondo, quello normale, non quello dei selfie e delle fotografie culturiste di certi energumeni che vorrebbero, nel 2019, riproporre un concetto di donna sottomessa e silente, ci racconta che i colori bisogna mischiarli eccome. Ne sanno qualcosa i tifosi di molte squadre di calcio che apprezzano calciatori provenienti da ogni parte del mondo e dai colori variopinti. Ne sa qualcosa la Dinamo che ha vinto scudetti, coppe italiane ed europee grazie alle bravure dei propri campioni, eroi in una terra di giganti ma con colori diversi. Quella diversità apprezzata ed amata che rende tutto “sospeso”, che riesce ad unire e non dividere e che costringe al confronto tra diverse culture e diversi modi di affrontare la vita. Magari il piccolo baby Sussex avrà come madrina l’ex miss mondo Priyanka Chopra e come padrino George Clooney, forse la squadra di calcio del Cagliari vincerà il prossimo scudetto con un campione armeno o pakistano, La Dinamo riporterà lo scudetto a Sassari con un misto di sardi, americani, sloveni, portoghesi e spagnoli e il prossimo presidente del Consiglio sarà donna. Tutto è possibile e molte cose sono avvenute attraversando le frontiere. Lo dico soprattutto ai sovranisti, a quei cocciuti conservatori che girano il mondo con mattoni e cazzuole a costruire muri inutili e superati. Soprattutto superabili attraverso la forza dei colori. Finiamola, davvero, di dividere tutto in due emisferi, finiamola di pensare che i buoni sono tutti da una parte, che gli italiani sono i migliori, che i sardi sono tutti orgogliosi, leali, matriarcali. Non è vero. Non cadiamo nella trappola del pensiero unico. Partiamo da quel bambino che da grande diverrà Conte di Dumbarton e sarà solo uno della nidiata della vecchia e superata famiglia regale inglese. Partiamo dal presupposto che la sospensione è sinonimo di attesa e anche di voglia di cambiare, di aprirsi agli altri. Ha cominciato Obama a colorare un mondo arcigno, profondamente chiuso e ha dimostrato che questa terra ha bisogno di colori, di amore, di attenzioni e di dialogo. Ecco perché non si deve aver paura dell’altro. Perché l’altro è sempre un’opportunità. Come un regale dai colori diversi.
Più veri.
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Tutti i colori meticci del mondo (La Nuova Sardegna, 12 maggio 2019) | Giampaolo Cassitta – Giampaolo Cassitta