i gesti, le parole e gli errori (La Nuova Sardegna, 21 marzo 2019)
I gesti, come le parole, sono importanti. Raccontano uno stato d’animo, rivelano le emozioni, disegnano le strade su cui quotidianamente ci affacciamo. Sentire un ragazzo di 28 anni autore di una strage in una moschea in Nuova Zelanda dichiararsi orgogliosamente fascista e sentire, giusto qualche giorno prima, il presidente del Parlamento Europeo dichiarare che Mussolini ha fatto anche cose buone, comporta una piccola riflessione. Sia chiaro: i due non si conoscevano e non c’è assolutamente nessun nesso tra il gesto scellerato di Brenton Tarrant e le parole di Antonio Tajani, però c’è un dato che non andrebbe mai sottovalutato ed è legato al “clima” in cui le parole e i gesti si fondono.
In un mondo globale i messaggi camminano veloci e sono amplificati, enfatizzati dai social, sono masticati velocemente e restituiti al famoso “popolo” che li digerisce senza neppure masticarli. Bastano poche parole per far crollare un titolo in borsa, mettere alla gogna un uomo, far cadere un governo, costringere al suicidio un ragazzino. Tutto che cammina sul filo delle parole e dei gesti in un mondo dove non esistono più le storie raccontate con perizia e lentezza dai vari Dumas, Dostoevskij, Kundera, le occasioni perdute di Dumas, le vicissitudini di Renzo e Lucia. Oggi rimangono le storie su Instagram, quelle che spariscono dopo qualche ora. Sentire una giornalista come Maria Giovanna Maglie affermare che avrebbe messo volentieri sotto con l’auto Greta, la ragazzina affetta da sindrome di Asperger che ha cominciato a chiedere ai potenti della terra di cominciare ad osservare il futuro accarezzandolo e non, come sta accadendo, violando e avvelenando il pianeta, è la prova che le parole hanno un peso specifico. E’ il clima politico (non solo quello che vorrebbe sanare Greta) ad essere avvelenato, accartocciato nei tentativi di ritornare indietro. Sembra quasi sia in atto un piccolo e quasi insignificante gioco: proviamo a spostare i paletti di ciò che negli anni si è conquistato, proviamo ad incutere la paura nei confronti degli altri, di chi non conosciamo e che dipingiamo nostro nemico, proviamo a raccontare che la donna forse dovrebbe riflettere sulle sue pretese, dovrebbe pensare ai nostri figli, dovrebbe cominciare a prendere in considerazione la famiglia come risorsa per il suo futuro. Così, lentamente, uccidiamo Greta e i nostri figli, feriamo seriamente tutte le donne e le battaglie che hanno effettuato – alcune volte insieme agli uomini, altre volte meravigliosamente in solitudine – per dimostrare una piccola e naturale cosa: le persone devono avere la stessa dignità. Invece, quasi con metodica pianificazione mondiale, è in atto un tentativo di restringere i propri orizzonti, rinchiudersi nel proprio recinto profanando con la morte e la distruzione quello degli altri. Sarebbe naturale affermare che Mussolini non deve essere giudicato per le cose buone (poche) che ha fatto. Deve essere giudicato per le scelte politiche scellerate che hanno portato il paese alle leggi razziali, ad una guerra inutile, ad una follia che non prevedeva la capacità di mediare e di ragionare sulle cose. E così, sarebbe oltremodo naturale non dichiararsi apertamente fascista perché dentro quella parola è condensato un periodo negativo, di orrore e di morte.
Siamo così occupati a disegnare i nostri gesti che ci dimentichiamo di far parte di un mondo complesso e variegato dove le parole sembrano non avere più identità. Greta, per esempio, ci ha ricordato che dovremmo preoccuparci del pianeta in cui viviamo. Lo diceva il vecchio Toro Seduto quando affermava orgogliosamente che gli indiani facevano parte della terra e la terra parte di essi. Noi non siamo solo quello che mangiamo ma anche – e soprattutto – quello che diciamo, facciamo. Noi siamo i nostri gesti, i nostri pensieri, siamo le mani che si muovono per un abbraccio o per un omicidio, siamo passato e futuro, siamo parole e gesti che si incontrano e riflettono.
Non dimentichiamolo.