La politica dei gesti e il diario dell’orrore (La Nuova Sardegna, 15/2/2019)
Non credo sia successo. Non è pensabile sia potuto accadere. Ma se ciò fosse provato nelle aule di un tribunale, che un ragazzo di ventiquattro anni abbia massacrato un bambino di sette anni solo perché giocando aveva rotto la sponda del letto, allora andrebbero riscritte molte delle nostre convinzioni, andrebbe rivisto il pentagramma della nostra esistenza. Dovremmo tutti fermarci e chiederci: dove abbiamo sbagliato?
Come può essere possibile che un giovane appena adulto venga preso e sommerso da una furia devastatrice nei confronti di un ragazzino e della sua sorellina solo perché, come dei bambini forse troppo vivaci, saltellavano sui letti utilizzando gli spazi – forse troppo stretti – per giocare e divertirsi?
Dovremmo chiederci perché un ragazzo di ventiquattro anni possa diventare una belva risoluta, anima nera e devastatrice, dovremmo cominciare a chiederci quale dovrebbe essere il confine tra la realtà e la follia, dovremmo cominciare a ridisegnare quella linea di frontiera tra gli uomini e i gesti sempre più urlati, sempre meno pensati. Giuseppe è stato ucciso e Noemi ha intravvisto la morte e solo per caso si è salvata dalla violenza delle botte, massacrati solo perché avevano fatto piccoli danni domestici.
La madre dei ragazzi, Valentina, nella sua deposizione, ha detto che il compagno (non era il padre dei ragazzi) sembrava indemoniato. Ha detto così Valentina, come se fosse semplice capire il demonio e come se fosse chiaro cosa sia accaduto dentro quella casa, dove però non serve un esorcista e non servono le preghiere. Serve sedersi ed ascoltare tutto quell’orrore che ci viene vomitato da chi, ancora, non ha compreso che non si uccidono i cuccioli e nessun mammifero li ammazza.
Che cosa è successo, allora, dentro quelle mura desolanti e mute? Perché il presunto assassino (si chiama Badre Tony Essobti, padre tunisino e madre della provincia di Napoli) ha ucciso ferocemente un bambino che non era neppure suo figlio? Noemi, dentro quello spavento che l’ha inghiottita ha detto, con semplicità: “Ci picchiava sempre” e lui, invece, davanti ai giudici ha affermato di essere dispiaciuto perché: “io a Giuseppe volevo bene”.
Ecco il diario dell’orrore, il punto di partenza dove tutto ricade, come un grande buco nero che ingoia volti e situazioni. Non si è più in grado di declinare la parola amore, non si è in grado di comprendere il rispetto, non si è disposti più a parlare. Tutto il lessico che portiamo nelle nostre tasche non serve, non ha senso, davanti ad una morte così assurda, inutile, terribile.
Dovremmo quindi chiederci – e chiediamocelo una buona volta – quanto siamo colpevoli e quanto siamo disposti a riportare tutto dentro un binario della normalità perché – ed è maledettamente così – il treno ha deragliato da parecchio tempo e nessuno – nessuno – è in grado di comprendere come rimuovere le macerie e salvare i feriti di questa devastazione sociale. Quel ragazzo di ventiquattro anni ha disegnato un mondo che è esattamente il nostro: solitario, fatto di frivolezze, dove è più importante un lettino rispetto ad un minore, dove è prioritario salvare un gattino finito vicino ad un bidone della spazzatura piuttosto che dei ragazzini su una barca in mezzo al mare.
I gesti. La politica dei gesti. Nessuno ne parla più ma è quella che comanda: tutti possiamo ottenere tutto e possiamo farlo subito, tutti possiamo vincere e per farlo basta gridare un po’ più forte, tutti possiamo profanare le nostre scuole andando a rubare le piccole e utili cose che servivano a dei bambini per studiare.
Tutti siamo sintonizzati su questo gigantesco mondo ingiusto, sprezzante, incapace di ascoltare, riflettere, senza la forza di amare. Ecco, quando quel ragazzo di ventiquattro anni, accusato di omicidio , afferma che lui a quel bambino che ha ammazzato gli voleva bene, capisco che la colpa è anche mia perché anche io sono finito – seppure inconsapevolmente – dentro il buco nero dell’orrore. Tutti siamo stati in silenzio ad osservare che tutto passasse, come un temporale. E non era così.
©giampaolo cassitta – ®by patamu nr. 99907