Quando muore un ragazzino il mondo diventa più piccolo. (La Nuova Sardegna, 29 novembre 2017)
Diventa impossibile sopravvivere ai propri figli perché non fa parte delle regole di quella vita che abbiamo nel tempo disegnato, non fa parte di ciò che noi vorremmo accadesse, non c’entra con la tavolozza dei colori che abbiamo sapientemente preparato, non possiamo pensare ad una fotografia spezzata, sbiadita, sbagliata. Perché poi ci sono gli attimi e c’è il destino che pasticcia le scelte, che si annida tra le opportunità della vita, che squarcia il silenzio e distrugge le certezze: così, quando un ragazzo di 14 anni muore non bastano tutte le lacrime del mondo e gli abbracci e la tenerezza infinita.
Quando un ragazzo di 14 anni muore si spezza la voglia di continuare, di riprendere il cammino, di provare a contare le ore e i giorni.
Quando muore un ragazzino il mondo diventa più piccolo.
Sono cose che succedono a volte per pura fatalità, a volte perché gli uomini camminano nei territori della violenza e spezzano il futuro di innocenti. A volte il destino è una barca che voleva arrivare da qualche parte del continente, è la fuga dagli orrori della propria terra. Perché non solo di incidente si muore ma anche di stenti e di paure e di violenza si muore.
E quando a morire è un ragazzino il ramo della vita si accorcia per tutti.
Quello che è accaduto ad Antonio ci tocca da vicino, accarezza i nostri cuori perché Antonio era figlio di questa terra. Quello che è accaduto ad Antonio è una tragedia che ci scuote come famiglia, gruppo di persone, come comunità. Perché Antonio era uno studente che camminava sulle stesse nostre strade, incontrava i nostri figli, parlava con i professori che anche noi conosciamo, aveva partecipato ai “giochi di Archimede”, frequentava il liceo Spano di Sassari, faceva il pendolare e prendeva lo stesso autobus con molti suoi coetanei, multiformi colori impazziti all’assalto della carovana. Cose da ragazzi che si fanno sempre, che si sono sempre fatte. Cose sbagliate, come le espressioni di matematica che non tornano, come i teoremi di Pitagora che non si applicano. Cose che non si dovrebbero fare perché sono pericolose: come passare con il rosso, camminare su una ruota sola, non utilizzare il casco o le cinture. Cose così, che si vedono al cinema e funzionano benissimo e vagli a spiegare ai ragazzini che la vita non è un film, loro che tutti i giorni filmano tutto, anche i sospiri. Vagli a spiegare che sono solo venti minuti di autobus e che pazienza se non riesci a sederti; vagli a spiegare che bisogna attendere e che quel pullman è meglio cavalcarlo da fermo.
Tutto facile adesso, tutto chiaro. Eppure è accaduto e Antonio è rimasto incastrato tra le ruote dell’autosnodato ed è stato travolto; è rimasto incastrato tra le maglie di una vita che lo ha salutato, lo ha abbandonato.
Tutto facile adesso, tutto chiaro.
Dentro questo silenzio sospeso, questa polvere che non si abbassa, questa fuliggine che ricopre la bellezza della vita. Tutto facile adesso, tutto chiaro tra il baratro di chi ci lascia e l’angoscia di chi resta. “Succede tutte le mattine” hanno raccontato alcuni ragazzini. Si corre per assicurarsi un posto per loro e per gli amici. Occorrerebbe più attenzione, più senso civico e servirebbe – almeno per quella corsa – un altro pullman così da assicurare un viaggio più dignitoso a tutti.
Questo è il nodo “politico” la scelta strategica delle aziende che devono conciliare gli introiti tra la domanda e l’offerta. Un po’ come il treno che da Cagliari parte strapieno alla volta di Sassari ma è solo un’illusione: tutti scendono a San Gavino o, al massimo a Oristano. Però nella stazione di Cagliari si assiste quotidianamente a questo incredibile assalto al treno dove i più giovani riescono a salire per primi a discapito di alcune mamme con bambini e degli anziani. Altra storia. Certo, altra storia ma che gira intorno all’organizzazione di una comunità, alle priorità che non sono quelle delle persone ma, piuttosto, quelle del “business”. Non serve, adesso, il coro di “noi l’avevamo detto” e non serve dire “si poteva evitare”.
Adesso è il silenzio l’unica colonna sonora che accompagna questa storia, quella di altri ragazzi che ci lasciano per distrazione, per un attimo che non si riesce mai a decifrare. E adesso tutti a dire che la morte di Antonio ci dovrebbe insegnare qualcosa e sembra che anche queste parole siano state dette e scritte fin troppe volte: su una sabbia che mai si deposita sulla memoria degli uomini.
E’ difficile sopravvivere ai propri figli, è difficile far camminare il sangue nelle nostre stanche vene. Ma dobbiamo farlo dentro quel dipinto complicato che si chiama vita.