Una via per gli ex sequestrati. Un bel gesto da sardi. (La Nuova Sardegna, 23 giugno 2017)
Il sequestro di persona è un atto di una cattiveria indicibile ed è il prodotto di una inciviltà assoluta: nessun rispetto per la persona e i familiari. In Sardegna il fenomeno è stato per fortuna debellato probabilmente perché era diventato un’operazione complessa da gestire grazie anche alle nuove tecnologie che nel tempo hanno aiutato gli investigatori. Il sequestro può avere molte connotazioni ma si sequestra per soldi da dividere con non troppe persone. Il sequestrato è un bene prezioso. Eppure molte vittime non sono mai ritornate a casa. Per qualcosa che si è rotto nelle trattative, per un terribile errore, in pochissimi casi per vendetta. Un sequestro è una storia asciutta, senza fronzoli, senza pentimenti, senza troppe scanalature. E’ il reato più odioso che si possa compiere perché la violenza nei confronti del sequestrato è immensa. Ho conosciuto alcuni sequestrati ma ho conosciuto, soprattutto, i sequestratori. Gente che in carcere ha modificato il proprio orizzonte e che, in molti casi, ha provato a giustificare il gesto assurdo compiuto a carico di una persona inerme e innocente. Ricordo soprattutto la difesa di un sequestratore di un paese della Barbagia: “Sono stato costretto, gli amici, la voglia di fare qualcosa di nuovo, mi dicevano che non c’erano rischi e che nessuno si sarebbe fatto del male. Ho pensato solo per un attimo che fosse qualcosa di brutto ma è stato un attimo. D’altronde si trattava solo di uno scambio: lui e i suoi soldi.” Mi ha sempre colpito – parlando con alcuni sequestratori – il loro voler sminuire l’atto, in loro non voler comprendere l’immensa violenza che commettevano nei confronti del sequestrato, il loro voler riportare tutto ad una trattativa legata ai soldi, come se l’uomo fosse solo ed esclusivamente merce di scambio. Non ho mai sopportato il sequestro di persona a scopo di estorsione: dalle nostre parti non è stato figlio di un solo episodio. E’ stato un vizio antico che ci ha fatto diventare piccoli, ci ha procurato vergogna, ha ferito il nostro orgoglio, ha disintegrato, per anni, l’immagine della nostra terra.
Quando ho letto la bellissima lettera di Alessandra Berardi, sorella di Cristina sequestrata il 20 giugno del 1987 e fortunatamente liberata il 19 ottobre 1987, sono come ritornato indietro nel tempo, alle decine di sequestri che avvennero soprattutto alla fine degli anni settanta e che videro protagonisti da una parte criminali efferati disposti a tutto e dall’altra persone inermi, spaurite, abbandonate al loro terribile destino. Questo mi raccontò, per esempio, Puppo Troffa, legato ed incatenato ad un albero e in grotta presso Sarule. Un sequestro durato otto mesi dove lui si trovò sempre solo, disperato. Un sequestro che lo segnò per sempre. “Non li aiuti”, mi diceva “non meritano niente questi barbari”. Non era propriamente un sentimento di vendetta ma il risultato di una terribile violenza, una ferita difficile da rimarginare. Tra quelli mai rientrati a casa c’è Giancarlo Bussi, ingegnere della scuderia Ferrari, sequestrato il 4 ottobre 1978 a Villasimius, presso la villa del cognato. Ci furono molte trattative e furono fatti moltissimi errori da entrambi le parti. Probabilmente l’ostaggio morì dopo Natale e probabilmente fu per morte naturale ma le trattative continuarono per mesi. Furono condannate molte persone in quel sequestro che vide partorire una sentenza in alcuni punti contraddittoria perché le indagini furono condotte non benissimo e l’onere della prova non fu mai cristallino. Ho conosciuto, a seguito della pubblicazione del mio libro su questo strano sequestro, la moglie dell’Ingegner Bussi, una donna forte che non ha mai smesso di cercare i resti di suo marito. Non ha mai avuto la possibilità di accompagnarlo nell’ultimo viaggio. Mi ha confessato che nutre invidia per i funerali. Ha come una vita “sospesa” e il suo cimitero è diventato un’isola. Viene ogni anno in Sardegna per questo motivo. Perché qui, da qualche parte, ci sono i resti di Giancarlo Bussi. Perché la Sardegna è il suo cimitero. Bussi meriterebbe una via o una piazza a Villasimius. Lo dico perché questo sequestro è stato per me oggetto di studio e un duro banco di prova. Quella via e piazza gli spetta affinché tutti possiamo ricordare la crudeltà che c’era dietro il sequestro di persona. Quella via o piazza spetta a lui e a quelli come lui per un rimborso, seppure tardiva, alla memoria e al monito. Mi auguro che l’appello di Alessandra Berardi non cada nel vuoto e che ci sia più di un comune a titolare la via a queste vite che sono state recise senza neppure un perché.