Il bacio tra la vittima e l’ex brigatista, La Nuova Sardegna, 26 agosto 2016
Quando quella che è stata un tempo brigatista ha dato un bacio in fronte a quella che è stata per quasi quarant’anni vittima e figlia dello statista democristiano ucciso, le anime giuste hanno tirato un sospiro di sollievo. Si è respirata un’aria quasi limpida a Rimini dove il fatto è accaduto, durante il famoso meeting annuale organizzato da Comunione e Liberazione. “Pensavo che l’esclusiva del dolore fosse nostra e che loro, i terroristi, erano mostri e basta”, ha dichiarato Agnese Moro.
L’ ormai ex brigatista Maria Grazia Grena ha risposto: “Ho incontrato l’urlo di chi ci chiedeva perché e ho visto la morte che avevamo seminato”. La metafora dell’urlo mi ha subito riportato a molti detenuti, politicizzati o meno, che ho incontrato mentre raccoglievano giorni dispari nelle carceri d’Italia. E quell’urlo, a dire il vero, era prodotto dai loro sguardi, dai loro lunghissimi periodi di ozio, di agonia della vita. Ho sentito l’urlo di chi negli anni ha ripercorso, con dolore, quell’attimo in cui la sua vita si è terribilmente incrinata, quell’attimo in cui la vita di un altro si è definitivamente conclusa.
Così, quel bacio in fronte ha fuso il dolore di tutti, che aveva contorni diversi, che macinava rancori e terrore, tristezza assoluta e vuoto indicibile per chi aveva perduto il proprio padre, il marito, il fratello. Una guerra complessa da comprendere e mai spiegata fino in fondo da ragazzi che, invece, hanno elaborato le soglie del dolore sino a costruire urla quasi disumane nel silenzio delle celle, negli anfratti delle sezioni lunghe ed infinite, in quel carcere cupo e denso, gonfio di molti fantasmi.
Agnese Moro e Maria Grazie Grena sono riuscite ad incontrarsi, a trovare le ragioni di un incontro, a rimettere sulla soglia delle opportunità le parole ed i gesti giusti. Non è semplice essere accettati ed è praticamente impossibile quando sei dalla parte di Caino. Ho osservato quel bacio seduto sulla panchina del torto e ho immaginato il percorso difficile, fatto di privazioni e di stenti, fatto di terribili, seppur laici, pentimenti. Ho controllato la luce di quel faro che non indicava la direzione giusta. Era una luce verso il mare aperto ed incerto, era il voler abbagliare un pezzo di mare, gonfio di onde e cattivo. Ho controllato la navigazione degli assassini, di chi ha ucciso. Di chi ha deciso in maniera perentoria e senza alcun diritto, di interrompere la strada di un proprio simile. Ho visto il loro modo di navigare in quel mare in tempesta gonfio di egoismi, ideali terribili. Ho sentito per anni i loro discorsi infarciti di sicurezza estreme, di convinzioni sbagliate, di certezze che si sono lentamente sgretolate. Poi dopo le urla contro un silenzio infinito si sono adagiati sul porto del rimorso, ad inseguire nuove luci. Piccoli barlumi che hanno portato a ritrovare strade fino ad allora sconosciute. Si chiama “riparazione del danno” quel bacio della Grena alla figlia di Moro. E’ un banco di prova utile a raggiungere l’altissima guglia dell’opportunità. E’ un passo importante e decisivo. E’ l’incontro tra due persone che avevano vissuto solo vite parallele, senza nessuna possibilità di convergere. Chissà se sarebbe piaciuto ad Aldo Moro questo incontro. Credo proprio di si. Non solo per la sua tesi politica piuttosto ardita e terribilmente attraente: le convergenze parallele, ma anche e soprattutto perché proprio lui, prima di morire consegnò il testamento spirituale alla sua amatissima moglie: “Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”. Dalle tenebre della chiusura, dall’impossibilità di vedersi è partita una piccola fiammella. Laica, lontana dal perdono. Quella luce dell’incontro, quel bacio tra la vittima e il carnefice hanno sancito la possibilità di poter riparare a quel maledetto errore, di poter provare a lenire quelle ferite lunghissime. Con un semplice bacio sulla fronte. Il resto è lungo ed è tutto da costruire.