La gomorra quotidiana, La Nuova Sardegna, 17 maggio 2016
Gomorra, il libro di Roberto Saviano che compie dieci anni proprio in questi giorni, non è solo un libro ispirato dal male ma è anche e soprattutto un grande atto di coraggio intellettuale e sociale. In Italia questi passaggi sono sempre meno frequenti, difficilmente ci sono persone disposte “a metterci la faccia” a firmare passaggi complessi legati al malaffare. Anche Saviano, nelle dichiarazioni a margine dei festeggiamenti sul decennale di Gomorra ammette che, pur cercando la fama e la voglia di scrivere qualcosa di forte, non avrebbe mai immaginato di doversi difendere da accuse feroci e da vere minacce di morte. Le accuse, peraltro, sono anche assurde, ma questo è un paese dove chi scrive del male, chi denuncia le malefatte e le commistioni tra criminalità organizzata e politica viene subito additato come spergiuro e, nella migliore delle ipotesi, si tende ad isolarlo. E’ capitato soprattutto con Carlo Alberto Della Chiesa, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino oggi indicati – e con ragione – eroi del nostro tempo, uomini dello Stato ma che, sotto molto aspetti, sono stati lasciati soli davanti ai loro freddi esecutori.
Gomorra non è un libro. Meglio, non è solo un libro. E’ il racconto di questo paese e la percezione che si ha leggendo quelle pagine è che il paese, dopo dieci anni, è purtroppo peggiorato. Roberto Saviano fu accusato, dall’allora ministro degli interni Roberto Maroni di raccontare frottole sul Nord e sull’incidenza della criminalità organizzata in Lombardia. Sappiamo come è andata a finire. Non solo: la mafia opera non solo al Nord Italia ma è giunta a manovrare quantità enormi di denaro anche nel Nord Europa. La mafia conosce come fare affari, sa dove sono i soldi e percorre quelle strade. Di recente sono stato a Caserta e Santa Maria Capua Vetere, il regno dei casalesi. Quelli raccontati da Roberto Saviano nel libro Gomorra e ripresi anche nella fiction terribilmente realistica. La sensazione che si prova, da subito, è la consapevolezza che quei territori sono dominati dalla camorra ma che, in qualche maniera, si vive dentro una rassegnazione totale da parte di tutti. In quei luoghi non si percepisce la bellezza. C’è un disordine “ordinato”, un lassismo organizzato, un credere che la cosa pubblica debba essere “abbandonata” affinché si possa continuare a protestare contro uno Stato che, in realtà, da un pezzo ha abbandonato al loro destino quei luoghi. Ci sono comuni commissariati da anni, sindaci in carcere, assessori affiliati alla camorra, gare d’appalto opache, istituti pubblici dove la rete idrica non è stata, da anni, mai allacciata. Cose così. E non sono pagine di un romanzo, non sono invenzioni di uno scrittore, non sono spunti per una fiction. Sono la realtà quotidiana di un paese costretto a rivolgersi alla criminalità per poter continuare a campare, di uomini e donne che non hanno più i valori, che vivono a ridosso della dignità, che non sanno più cosa possa essere il riscatto, l’orgoglio. Eppure nel sottotraccia di questa terra ci sono storie, vite degne, c’è cultura e bellezza. C’è la reggia di Caserta che illumina questo universo tetro, ci sono colori e mestieri da conservare, c’è la bontà di una mozzarella di bufala che il mondo di invidia. Eppure intorno a queste opportunità c’è il vuoto pneumatico voluto dalla camorra, costruito per poter essere rete nel territorio. C’è la consapevolezza che tutto questo rappresenti l’antistato, che tutto questo sia sbagliato, che tutto questo non serva a far crescere quel paese. Ma nelle pieghe degli sguardi delle persone rimane l’impotenza di riuscirci. Lo si vede anche dalle piccole cose: la precedenza nella rotonda è di chi se la prende. E tutti sono d’accordo. Gomorra, in fondo, crea un nuovo ordine nel disordine quotidiano.