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Il gioco delle parole di vetro (La Nuova Sardegna, 30/3/2016)

Il gioco delle parole di vetro (La Nuova Sardegna, 30/3/2016)

Ho sempre guardato con molta attenzione questo signore venuto da lontano e che ha deciso di chiamarsi “Francesco”, come il santo di Assisi. Ho sempre scrutato con molta curiosità i suoi passi, i suoi gesti, le sue esortazioni, i suoi scritti. Credo che Jorge Bergoglio sia un leader naturale, uno che sa come arrivare a colpire le corazze indurite delle persone. Per certi versi mi ricorda il piccolo Josef Knecht raccontato da Herman Hesse nel “giuoco delle perle di vetro”, ammesso fin da giovane nell’élite dei giocatori di perle del fantomatico mondo di Castalia. Il protagonista dimostrerà una sensibilità fuori dall’ordinario e un fascino incommensurabile e dovrà difendere, con le parole, la strana regione dove si coltiva lo spirito, la meditazione e il gioco delle perle. Il nome, Knecht, significa “servitore” e Papa Francesco questo nome lo incarna magnificamente: sa essere ultimo tra gli ultimi, dispensatore di umiltà, di esempi edificanti, portatore di messaggi forti, a volte controcorrente. La sua bellissima enciclica sulla bellezza e amore per la natura ricorda, da vicino, quell’inno sublime a frate sole e sorella terra di San Francesco, così come l’ultima preghiera sulla croce letta nell’ultima via Crucis, a Roma. Papa Francesco è un profondo conoscitore dell’animo umano e conosce gli spartiti degli uomini. Sa usare, nel pentagramma di tutti, le note e gli accordi giusti. Sa armonizzare, da buon direttore d’orchestra, tutti i possibili acuti di molti strumenti.
Nelle carceri che ho visitato e visito, all’interno delle celle noto che la foto del Papa ha spodestato di gran lunga le istantanee di molte modelle e di appariscenti veline. Ho chiesto ad alcuni detenuti cosa rappresenta Papa Francesco per loro: “è l’unica persona famosa che ci considera”. Ecco il punto alto del magistero di un Papa che cammina sulle pagine del Vangelo. Il suo utilizzo fortissimo dei media, il saper giungere nei luoghi più remoti con le parole giuste. La sua battaglia iraconda contro l’egoismo estremo, contro le ingiustizie. Non usa mezzi termini per ammonire i ministri infedeli (e, quindi, gli stessi preti) che: “invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità”. Una condanna senza mezzi termini al cancro della pedofilia che colpisce l’interno della chiesa. Quella croce di Cristo che cammina tra i potenti e i venditori di armi che:“alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli” o tra i :“ladroni ed i corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità”. Papa Francesco parla alla gente e attraverso la gente attende risposte dai potenti che, però, non arrivano. Ricordo quell’omelia di mattina presto agli onorevoli nostrani, quelle nerbate durissime in faccia di gente che, appena uscita fuori dalla chiesa ha continuato, beatamente, ad infrangere tutti i valori che il Papa aveva invece ricordato.
Quanto valgono, dunque, le parole di Francesco? Quanto pesano dentro un mondo che non riflette, un mondo terribile e sordo? Il nostro Knecht raccontato da Hesse divenuto Magister decide di lasciare il mondo di Castalia e si reca finalmente libero tra gli uomini e, tra essi, decide di continuare la sua missione di educatore. E’ il momento più difficile, di sfida, è il modo scelto da papa Francesco: essere uomo tra gli uomini, servitore degli ultimi. Lo scorso anno lavò i piedi ai detenuti minorenni di Casal del Marmo, quest’anno li ha lavati ai senza tetto. La croce, simbolo di sofferenza è, per papa Francesco, anche strumento di amore. Bisogna passare dalla croce per risollevarsi, bisogna, laicamente, saper ascoltare con molta attenzione questo strano uomo venuto da lontano che ci trasporta nelle forti riflessioni come in un romanzo: il giuoco delle parole di vetro.