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storia di un piccolo eroe (La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2015)

storia di un piccolo eroe (La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2015)

articolo apparso sulla Nuova Sardegna del 15 ottobre 2015

Mi ha colpito molto (in senso positivo) la scelta del Presidente della Repubblica Mattarella di nominare “motu proprio” diciotto tra ufficiali, cavalieri e commendatori al merito della Repubblica. Mi ha colpito perché i premiati sono persone comuni ma che hanno compiuto qualcosa al di fuori del comune. Come l’infermiere sardo Stefano Marongiu, colpito dall’Ebola quando si trovava in Sierra Leone e salvatosi grazie al lavoro intenso dei medici dello Spallanzani che lo hanno letteralmente riportato alla vita. Mi ha colpito perché Stefano Marongiu ha ricevuto la telefonata del capo di gabinetto della Presidenza della Repubblica quando al lavoro, aspettava l’ennesima richiesta di aiuto al 118. Mi hanno colpito soprattutto le sue parole nell’intervista rilasciata al quotidiano “la Repubblica”. L’infermiere ha dichiarato di accettare il titolo di cavaliere perché rappresenta un riconoscimento per Emergency, per i medici dello Spallanzani che gli hanno salvato la vita e per l’Africa. Era alla sua prima missione, tre mesi in Sierra Leone quando ha scoperto di essere stato contagiato dal virus terribile dell’Ebola. “in quei mesi”, racconta Marongiu “ho dato tutto tra speranza e tristezza per le vite perse”. Al ritorno in Sardegna scopre la malattia. Alla domanda “Cosa ha pensato” Marongiu risponde: “E’ andata. Finita. Ma ero sereno, in fondo soddisfatto di quello che avevo fatto della mia vita, certo era un po’ troppo presto per andarsene. Ma una cosa per me è chiara: avevo dato tanto in Africa, ma umanamente ho ricevuto molto di più”. Una risposta come questa merita senza dubbio il riconoscimento formale del Presidente Mattarella ma merita l’assoluto rispetto di tutti gli italiani. Quelle parole sono l’assoluta essenza della passione, dell’impegno sociale, del credere in qualcosa di semplice: nella vita umana. Sono parole intense, forti, che rimbombano dentro il vuoto pneumatico di questa società persa nell’attorcigliarsi l’anima, nel non voler scommettere sugli altri, nel non essere inclusivi, nel non volersi mai interessare dell’altrove preferendo, egoisticamente, il proprio orto fatto di piccole cose. Il gesto e le parole di Marongiu ci riportano a ripensare il cortile sociale, allargare i nostri sguardi verso gesti semplici che nel tempo sono quasi diventati mitici. Ha ragione Marongiu quando afferma di non essere un eroe ma nello stesso momento ha comunque torto perché oggi quel suo impegno è un gesto eroico come le sue parole. Avere dato tanto agli altri è un impegno forte. Lo fanno li genitori nei confronti dei propri figli, a volte lo fanno gli amici, i colleghi e lo fa, sicuramente chi ti è accanto, chi ti ama. Dare tanto agli altri è un grande atto d’amore. Ma è anche un atto sociale che abbiamo lentamente dimenticato. Forse ci sfuggono i sacrifici dei volontari, dei medici, degli infermieri, delle suore e dei preti di confine, di chi ha deciso di andare a raccogliere l’essenza della vita nelle strade degli ultimi, dei reietti, di quelli che non hanno alcuna possibilità. Bisognerebbe rispondere sempre in questo modo quando ci troviamo davanti a quelle persone dure e insensibili che continuano a voler cacciare altri essere umani da quello che considerano il “loro” territorio. Bisognerebbe ripetere le parole di Marongiu agli insensibili di turno: “Ero soddisfatto di quello che avevo fatto della mia vita”. Ecco, Stefano Marongiu ha 37 anni e chiaramente sapeva di essere troppo giovane per morire. Eppure era soddisfatto di avere fatto la scelta giusta. Annotiamole queste parole e proviamo a snodare la corda della nostra indifferenza. Proviamo a chiederci quanto è lungo il nostro sguardo, quanto riusciamo ad andare oltre il semplice “mi piace” e quanto siamo disposti a dare per un impegno sociale come quello di Stefano Marongiu. Un sardo, un uomo, una grande persona da ringraziare. E, se fosse possibile, da imitare.