Giampaolo Cassitta, attualmente funzionario del ministero della Giustizia, racconta come si vive nei penitenziari
Un’esistenza parallela, in un mondo fatto di sbarre, serrature, telecamere, vetri antiproiettile e permessi. Silenzi, attese e riflessioni, ma anche sofferenza e solitudine. La vita all’interno di un penitenziario è scandita da riti ripetitivi, le voci e i lamenti o non arrivano o arrivano ovattati all’esterno. In questo tour nel mondo delle carceri la testimonianza di Giampaolo Cassitta, funzionario del ministero della Giustizia.
Il carcere come espiazione della pena e un luogo per la rieducazione: in Italia è solo uno slogan?
No, non è uno slogan ma è la missione dell’amministrazione penitenziaria. In Sardegna, seppure tra mille difficoltà la rieducazione è un obbiettivo prioritario per tutti gli istituti e il rilancio delle colonie, incentrando tutto sul lavoro all’aperto: ci sono diversi progetti che vanno verso l’inclusione sociale dei detenuti, su cui occorre crederci. Ma, a volte, sono le “altre” istituzioni a non voler scommettere. L’attuale sforzo dell’amministrazione penitenziaria è duplice: da una parte attraverso progetti finalizzati al reinserimento sociale con le diverse istituzioni (Cna, Api Sarda, Camere di commercio) e dall’altra tentare di far capire prima al detenuto e poi alla società civile che un ex carcerato che rientra nel tessuto sociale e riesce a trovare la propria autodeterminazione con il lavoro è una scommessa vinta per tutti.
Qual è la situazione delle carceri in Sardegna?
Prima dell’indulto, in Sardegna era presenti 2110 detenuti e la scarcerazione di circa un migliaio di essi ha portato a dimezzare, di fatto la popolazione detenuta nelle 12 carceri sarde. I problemi più evidenti, dopo la concessione dell’indulto è che tutte le colonie (Mamone, Isili e Is Arenas) hanno sofferto, per mesi, l’assoluta mancanza di mano d’opera. Un esempio: con l’indulto a Is Arenas sono usciti tutti i detenuti tranne uno. Il problema principale delle colonie e, in parte della Casa reclusione di Alghero e la Casa circondariale di Macomer è che occorre attendere i detenuti arrestati e che vengano associati nelle case circondariali. Bisogna poi aspettare che questi siano perlomeno condannati e che siano, dunque appellanti o ricorrenti, prima di essere trasferiti nelle colonie e nelle reclusioni. Una situazione che si sta normalizzando solo adesso. Attualmente, in Sardegna sono presenti 1426 detenuti (dato al 15 ottobre 2007) su una capienza di 1936 detenuti e una tollerabile di 2520. L’effetto indulto comincia la sua lenta parabola di “riconversione” e molti di quelli che avevano ottenuto lo sconto anticipato dei tre anni sono rientrati in carcere. Sugli effetti dell’indulto occorre però qualche precisazione. Le scarcerazioni del 2006 riguardarono 1064 detenuti ma non erano tutti detenuti sardi, anzi, la maggior parte erano stranieri extracomunitari. I “sardi” o meglio, quelli residenti nell’isola scarcerati per effetto dell’indulto sono stati 669. In Sardegna sono 248 i detenuti riarrestati e, se il raffronto viene effettuato con i residenti (ovvero con i 669) la percentuale degli arrestati si aggira intorno al 37%. Sulla situazione delle carceri attuali vi è da evidenziare che sia Sassari che Cagliari sono già “in sofferenza” e hanno raggiunto e in qualche caso superato, la soglia della “tollerabilità”.
Il sistema carcerario ha indubbiamente molte ombre, le principali sono…?
Le carceri, in generale soffrono di un problema strutturale, problema che in Sardegna si sta tentando di risolvere con la costruzione di quattro nuovi penitenziari, (Cagliari, Tempio, Cagliari e Oristano). Quello di Sassari, verso Bancali dovrebbe essere consegnato fra cinque anni.
Le altre carenze sono legate all’organico e, in Sardegna questa è una nota piuttosto dolente. Paradossalmente nell’isola non siamo sotto organico per quanto riguarda la forza di polizia penitenziaria ma, purtroppo, il numero elevato di penitenziari, la loro “piccola” capienza, obbliga comunque a dover garantire la sicurezza anche dove i detenuti sono relativamente pochi. Tanto per fare un esempio: il carcere di Sollicciano, a Firenze ha, più o meno l’intera popolazione che attualmente è presente in tutta la Sardegna e metà della forza di polizia. A Sollicciano però è presente (per quanto enorme come struttura) una sola portineria mentre, in Sardegna esistono 12 portinerie dove, obbligatoriamente devono essere presenti nell’arco dell’intera giornata dei poliziotti. Ecco, il problema è in questi termini e questo vale anche per il personale amministrativo (ragionieri soprattutto) che se “concentrato” così come accadrà nei prossimi anni, può essere utilizzato in termini di efficacia e di efficienza in maniera senz’altro ottimale rispetto ad oggi. Altre carenze sono legate ai fondi di gestione ma questo è, ormai un processo ineluttabile cui il paese, tutto il paese, si deve abituare e occorre, invece, poter riuscire a programmare le attività in maniera diversa e meno ancorata ai vecchi sistemi. Oggi siamo in Europa e dobbiamo scommettere su questo fronte, creando i presupposti per ottenere i fondi europei attraverso progetti transnazionali che portino al confronto e all’analisi dei problemi in senso globale.
Quali sono i legami (oltre al lavoro) tra il carcere e il mondo che sta al di fuori: studio, rieducazione?
Lo studio come concetto rieducativo è quello su cui intendiamo intervenire. Da qualche anno negli istituti di pena sardi si lavora per permettere ai detenuti di studiare o partecipare a dei corsi di formazione professionale legati al mondo dell’occupazione. In pochi anni siamo riusciti ad ottenere una scuola ormai “istituzionale” presso il carcere di Alghero dove i detenuti possono frequentare regolarmente l’intero quinquennio della scuola professionale alberghiera (lo scorso anno si sono diplomati tre ragazzi che erano arrivati dalla prima alla quinta classe sempre in carcere). Ma la scommessa più alta è legata alla costituzione del Polo Universitario tra l’Università di Sassari e il carcere di Alghero e Sassari. A San Sebastiano si sono svolti degli stage cui hanno partecipato numerosi detenuti mentre ad Alghero, con il progetto Ludica (libera università detenuti in carcere) recentemente finanziato dalla Fondazione del Banco di Sardegna, i detenuti possono iscriversi all’Università (in qualsiasi facoltà) ed essere seguiti da un tutor che interviene all’interno dell’istituto e che accompagna i ragazzi sino all’esame. Sono previste delle borse di studio e la possibilità di avere iscrizione e libri gratuiti. Attualmente sono tre i detenuti iscritti (uno dei quali, iscritto a Scienze della comunicazione ha sostenuto 16 esami).
Una giornata media di un detenuto medio?
“In carcere la concezione del tempo è stata oggetto di studi diversi e di molte tesi di laurea (alcune si sono concentrate anche su alcuni istituti della Sardegna) e, ancora oggi è necessario dividere la scansione della giornata a seconda di dove uno la trascorre: in una casa circondariale è molto più difficile gestire il tempo anche se, paradossalmente si fanno meno attività. Per un imputato, infatti, il tempo è scandito dalla sveglia, dal recarsi all’ora d’aria, dall’attesa dell’interrogatorio o dal colloquio con il suo avvocato o i suoi familiari. Il pomeriggio, solitamente lo si trascorre in cella a guardare la tv perennemente accesa. Guardare è il verbo giusto perché a volte, nelle celle, si fa solo quello. Non si ascolta. Perché, magari c’è troppo rumore o perché non ci si riesce a concentrare e la televisione diventa, in molti casi un piccolo acquario senza alcun senso. Nelle case di reclusione o di lavoro, la gestione della giornata è scandita da diversi impegni: chi va a scuola o al lavoro o partecipa ad un corso impegna praticamente tutta la mattina. Per tutti (anche per il circondariale) il pranzo viene servito intorno alle 11 e 30. Poi ora d’aria e alle 15 nelle reclusioni si continua con la scuola o con qualche corso nel pomeriggio e la cena viene servita intorno alle 18 ora di chiusura di tutte le attività, ad eccezione delle colonie penali dove chi lavora nei campi, rientra anche intorno alle 20”.
Quali sono le difficoltà, i limiti e le paure di un detenuto?
“La gestione del “dopo” è il vero problema della detenzione. Il detenuto, a volte, non riesce ad immaginare un mondo che sia disposto ad accettarlo. Occorre pertanto lavorare su questo “dopo”: il percorso non è semplice ma le sfide vanno sempre accettate e questa, nonostante tutto è una bella e difficile sfida”.
Gabriele Sardu